lunedì 9 marzo 2015

La notevole impresa di Laura Peluffo

Ci sono artisti che ho osservato, per anni, da lontano.
Come Laura Peluffo.
Non capivo quanto la sua bravura, davvero straordinaria, condizionasse il suo lavoro.
Dunque, la guardavo da lontano. Mi chiedevo se volesse piacere, consapevole della sua facilità a piacere, oppure se ci fosse altro. Guardavo i suoi lavori (che mi piacevano maledettamente) ma stavo lontano. Poi ho capito.
Il linguaggio di Laura Peluffo è semplicemente questo. Un linguaggio che si preoccupa di raccontare storie, che ha a che fare con il teatro, le maschere, il gioco, la bellezza, il divertimento. E la malizia. E il sesso. Dopo un sacco di anni ho deciso di amare, senza riserve, il lavoro di Laura Peluffo.
Lo sapevo da un po', di amarlo, ma adesso ho deciso. 
Laura Peluffo ha messo insieme la grande tradizione e il futuro. Senza tradire la tradizione. E neanche il futuro.
Mi sembra un'impresa notevole.






giovedì 19 febbraio 2015

Le locandine impossibili del patafisico Debernardi

Quante mostre di pittori sussiegosi e incapaci vediamo ogni anno? Troppe. Quante scoperte di artisti valorosi - mercé talvolta la nostra ignoranza - facciamo ogni anno? Poche. Quasi nessuna. 
Giorni fa, in un piccolo teatro della Riviera ligure, ho visto dei quadri formidabili. Li ha realizzati Daniele Debernardi che, di mestiere, fa l'attore. La sua "bottega" si chiama Teatro dell'Erba Matta. Scrive e interpreta magnifici spettacoli per bambini. E dalle nostre parti è una vera celebrità.
Non sapevo (ecco l'ignoranza) che fosse anche un gran pittore. Ha realizzato - verrebbe da dire "fabbricato" - una galleria di opere che rappresentano locandine di spettacoli impossibili. O possibili ma che Daniele non è mai riuscito a mettere in scena.
Le sue opere profumano di Enrico Baj e di Patafisica, ma sono bellissime. E divertenti. Da guardare e da leggere, anche se verrebbe voglia di toccarle.
Ne ho fotografata qualcuna.











lunedì 26 gennaio 2015

Enrico Fochi fa vivere Bruno Volpez nel buio di Altredimore

Possono un luogo e un fotografo fare da moltiplicatori del valore di una mostra? Direi di sì. Qualche giorno fa sono stato all'inaugurazione della personale - intitolata programmaticamente "Contro" - di Bruno Volpez, artista tormentato e complicato, anacronisticamente politico e forse, proprio per questo, ancora attuale.
I suoi quadri erano appesi in uno spazio fantastico che si trova all'inizio della vecchia darsena del porto di Savona. Un luogo cupo e caldo, decadente ed elegante, vivo e pieno di storia.
Si chiama Altredimore ed è una specie di galleria di bellezze vintage, oggetti d'arte e di design, cose di recupero tornate a nuova vita.
E le cose di Volpez sembravano nate per quel posto, e andavano cercate, una ad una. Sembrava un gioco.
Tra il pubblico - foltissimo - girava un fotografo. Quasi invisibile. Enrico Fochi.
Ha scattato una manciata di immagini.
Bellissime.








mercoledì 14 gennaio 2015

Lucio Fontana, Quasimodo, il futurista Tullio e gli altri. La dolce Albisola in un quadro di Virio

Nel 1970 il pittore Virio da Savona, al secolo Vittorio Agamennone, dipinse un quadro destinato a diventare storico, "Il cenacolo degli artisti".
Proponeva, quel dipinto, una sorta di cristallizzazione del mondo artistico di Albisola - luogo leggendario fin dai tempi di Marinetti - e, insieme, ne faceva una specie di censimento. Nel quadro ci sono, oltre al futurista Tullio d'Albisola che di quella stagione fu l'iniziatore, Lucio Fontana, Agenore Fabbri, Aligi Sassu, il poeta Salvatore Quasimodo, Roberto Crippa, la scrittrice Milena Milani e il gallerista Carlo Cardazzo, e poi Capogrossi, Asger Jorn, Reggiani, Luzzati, l'umorista Carletto Manzoni, Nino Strada, Mario Rossello, Scanavino e molti altri.
Carla Bracco e Lorenzo Zunino, con un'idea tanto semplice quanto geniale, hanno preso spunto da quel dipinto per costruire una mostra (visitabile nella Fortezza del Priamàr di Savona fino al 15 febbraio) che racchiude tutti quei protagonisti e racconta una pagina memorabile dell'arte italiana del Novecento.
Sabato 17 gennaio, alle 16 (nella cappella del Palazzo del Commissario del Priamàr di Savona), insieme a Lorenzo Zunino, parlerò di quel quadro, di quegli artisti formidabili e di una figura centrale di quella vicenda, la mia amica Milena Milani.


giovedì 8 gennaio 2015

Arturo Santillo, l'anti-moderno

Mi piace Arturo Santillo.
Mi piace da quando l'ho conosciuto, un sacco di anni fa. E mi piace ancora di più da quando ho scoperto il posto dove lavora, in un vicolo di Genova Pegli, vicino a una trattoria dove invita i suoi amici a mangiare.
Santillo è uno straordinario artista post-moderno (o, meglio, anti-moderno). Prepara le sue tele come un maestro antico. Poi disegna e dipinge. Corpi nudi, in prevalenza. Maschili e femminili. Immagini ora sacre, ora semplicemente umane. Un suo capolavoro è nell'ingresso di casa mia. Ed ogni volta che lo vedo - dunque, quasi ogni giorno - penso a quanto possa essere potente l'arte di Santillo. Corpi nudi e giochi di proporzione. Spaesamento e messaggi. Forse, semplicemente, la vita che si ribella alla morte.
Santillo, a modo suo, sta riscrivendo (o rileggendo) la pittura classica. Rimpicciolendo teste o allungando braccia. Ma non te lo dice. Te lo fa vedere e basta.
Da molti anni i suoi quadri mi interrogano. E credo interroghino molti. Quelli che li comprano e che ci vivono insieme.
Ecco, la pittura di Santillo, sollecita la nostra intelligenza. Ma è soprattutto una fantastica e delicata forma di ribellione nei confronti della modernità.
La pittura di Santillo è, dicevo, anti-moderna. E, dunque, più che moderna.
Non so dove, in questo momento, le sue opere siano esposte. In molte gallerie, immagino, e nel suo studio davanti al mare di Genova. Ma se vi capita di vedere il suo nome su una locandina andate.
Arturo Santillo è un grande e magnifico pittore.



lunedì 5 gennaio 2015

Pregiudizi. Norman Rockwell e l'arte moderna

Sono stato a Palazzo Sciarra, a Roma, a vedere la mostra di opere di Norman Rockwell. Ero stato, qualche tempo fa, a Stockbridge, Massachusetts, a visitare il museo dedicato a questo formidabile illustratore.
Lo amo da sempre. E la visita al suo studio d'artista, nel pieno dell'Indian Summer, è stata memorabile.
Ma altrettanto memorabile è la mostra di Roma. Un'esposizione persino più ricca di quella che avevo visto a Stockbridge.
Ci sono quasi tutti i capolavori. Vale la pena.
Amo Rockwell, dicevo. Amo le sue storie, la sua America, financo la retorica che pervade quasi tutto il suo lavoro.
Adoro la sua ironia.
Mi è tornata in mente un'illustrazione, che non c'è nella mostra, ma che si può vedere qui sotto.
Norman Rockwell probabilmente non capiva l'arte contemporanea.
Proprio quella che stava facendo grande l'America.
E che, in effetti, a sua volta non capiva (e non amava)  Norman Rockwell.
Oggi si possono amare Rockwell e Pollock allo stesso tempo.
Ed è, in effetti, una bella conquista.